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Se per il mondo greco in generale si va fortunatamente affermando la necessità di studiare la storia e l’archeologia per problemi sempre più intimamente connessi, per la Magna Grecia, e grazie alla pluridisciplinarietà che vi si pratica da circa mezzo secolo nei consessi scientifici appena richiamati, ciò avviene naturaliter, senza contare la bibliografia precedente che ha contribuito non poco a tracciare filoni di studio consolidati. Dunque, archeologia a tutto campo, definizione di problemi (più che loro soluzione), ventaglio di interpretazioni possibili. Ovviamente questo comporta l’obbligo di conoscere, e bene, i ferri del mestiere: qui non stiamo propugnando la difesa delle sintesi senza analisi. Perciò, filologia totale, conoscenza della storia dell’arte greca, della storia dell’architettura, della ceramica, insomma di tutti gli attrezzi senza i quali non si possono comporre sintesi seriamente fondate. È inutile dire che lo studio di una regione comporta la conoscenza approfondita della storia, quella resa possibile dalle testimonianze letterarie giunte fino a noi (le magnogreche sono veramente poche) per avere un quadro di riferimento e non certo per imbastire intrecci combinatori. Insomma, chi studia l’archeologia della grecità occidentale, così abbiamo scelto di chiamare questo libro, onde evitare trappole tipo ‘archeologia coloniale’ o ‘della colonizzazione’ (espressioni bisognevoli di essere chiarite, come cerchiamo di fare nel primo capitolo), deve conoscere la storia e l’archeologia greca generale: la Magna Grecia è un’area geografica, riccamente popolata da Greci, e non solo da essi, parte di una più vasta unità ellenica, all’interno della quale non poche sono le differenze e diverse le esperienze civili.

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