“ […] Questo 36° volume [della collana di Fonti e studi per la storia dell’Università di Pavia] è programmaticamente inteso a lumeggiare l’universo accademico degli anni teresiani e giuseppini – seconda età dell’oro del nostro Ateneo (dopo la prima, quattrocentesca) – riunisce pure gli Atti di un Convegno, che ha raccolto studiosi di varia provenienza e riconosciuta competenza: più d’uno, forse, attratto dalla stessa singolarità del dramma di una Università ascesa quasi d’un balzo, nella cosiddetta età delle riforme, a vertici europei ma – in più d’un settore, almeno – incapace di fare “scuola”; con attori di fama internazionale destinati a uscir di lì a breve di scena quasi senza “successori”. E tuttavia, sinché dura, quali straordinarie, rapide mutazioni! E quanto e come organicamente pensate, così da portar innanzi, a un tempo, la rivoluzione negli approcci metodologici e didattici e l’adeguamento, altrettanto rivoluzionario, delle strutture ambientali!
Chi si accosti alle carte del periodo teresiano e, più ancora, giuseppino, testimoni eloquenti di quella ‘politica universitaria’, non può non essere colpito dal folgorante decisionismo e dalla altrettanto rapida trasformazione degli imperiali desideri in realtà effettuali. Attingendo al capitale accumulato nel tempo dalla società civile – sotto forma di chiese, conventi, e relativi patrimoni, senza dimenticar libri e arredi – una volta scelta Pavia come sede dell’Università lombarda, Vienna può investirvi una quantità di risorse tali da sorreggere in modo idoneo il progetto: inteso a farne un Ateneo di primo rango nel contesto imperiale. I risultati si vedono, come gli autori di molte delle relazioni qui raccolte possono documentare. E Pavia sperimenta, una volta ancora, l’assoluta necessità per il proprio sviluppo universitario (ma non solo) di un centro d’iniziativa e di una politica d’investimento che travalichino le mura cittadine, come già in età visconteo-sforzesca.
Certo, un edificio costruito tanto velocemente, facendo perno sull’assoluta volontà del sovrano, in assenza di un più o meno largo coinvolgimento della società civile, non può non recare in sé i germi di un possibile, magari altrettanto rapido declino. E ci si può pure ragionevolmente interrogare sulla validità, a medio-lungo termine, d’un progetto che al primo posto poneva la formazione di leali sudditi di sua maestà. Il primo declino dell’Ateneo (e con l’Ateneo della città) si deve, d’altronde, in età ‘francese’, alla prosecuzione, sotto altra bandiera e con tutt’altre finalità, di quella politica assolutistica di cui Pavia aveva in precedenza beneficiato: uscendone, l’Università, stravolta, coi più giovani collegi e istituti di istruzione superiore ridotti a caserme e uno dei suoi due collegi storici – il Ghislieri – mutato in Scuola militare.
Di sicuro, comunque, la vicenda pavese tra Sette e Ottocento può ancora dirci qualcosa e a qualcosa stimolarci, come al termine di questo volume ben ha scritto Giorgio Cusatelli: nei suoi aspetti più brillanti come nel suo, successivo (parziale) tramonto. Sempre ritenendo che la Storia, al di là di ogni possibile godimento estetico, se opportunamente interrogata, possa aiutarci a capire e intervenire, anche in ambiti (apparentemente, almeno) marginali: ma, in regime democratico, alla portata della nostra come di ogni ‘comunità scientifica’ degna di questo nome. […] ”
Dalla premessa di Giulio Guderzo
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