In Italia risale al XVIII secolo la fondazione di scuole dedicate a insegnare l’ostetricia “minore” alle aspiranti levatrici. A Pavia la scuola ostetrica aprì i battenti nel 1818. All’esordio non mancarono problemi logistici e organizzativi, che i docenti affrontarono cercando sostegno nelle istituzioni universitarie, politiche e civili. Questa fase pionieristica fu tuttavia anche quella in cui si formò la tradizione ostetrica pavese, caratterizzata dalla sperimentazione del parto prematuro provocato.
Nel primo cinquantennio post-unitario la scuola raggiunse livelli di eccellenza, grazie all’opera di docenti come Edoardo Porro, Alessandro Cuzzi e Luigi Mangiagalli, che modernizzarono la clinica secondo i principi della nuova cultura igienista. In quegli spazi si sperimentarono nuove tecniche operatorie e maturarono proposte per una nuova legislazione sociale da estendere a tutto il Paese.
Inizia anche una trasformazione socio-culturale nelle allieve della scuola, provenienti soprattutto dai ceti urbani di Pavia e dintorni, dal sud della Lombardia e dal vicino Piemonte orientale. A partire dagli anni Novanta del XIX secolo le ex allieve, diventate libere professioniste o assunte nelle condotte ostetriche, divennero più consapevoli del proprio ruolo sociale, si organizzarono e discussero sulla stampa di settore e nei Congressi i problemi della categoria. Con le riforme introdotte durante il Ventennio fascista, la formazione si fece più lunga e approfondita, ma s’assottigliò il numero delle iscritte.
La figura dell’ostetrica tuttavia uscì definitivamente dal cono d’ombra del sospetto e del secolare disprezzo verso un mestiere legato al sangue e al sesso. Si iniziò finalmente a percepire l’ostetrica come una professionista a tutti gli effetti, subordinata al medico, ma ricercata e ascoltata dalle donne per le sue competenze in ambito ostetrico-ginecologico e pediatrico.
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